Franco Basaglia, letture sulla rivoluzione della psichiatria e la chiusura dei manicomi

L’11 marzo si ricordano i cento anni dalla nascita: libri, e immagini per capire cosa rappresentò per lo sviluppo civile e politico del paese

Franco Basaglia e Franca Ongaro

Qualche anno fa ho letto La Repubblica dei matti. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978, di John Foot, pubblicato da Feltrinelli nel 2014. Lo riprendo dallo scaffale oggi dopo aver letto l’intervista di Simonetta Fiori su Repubblica alla figlia di Basaglia e di Franca Ongaro, Alberta Basaglia.
Si parla di Franco Basaglia (1924-1980) perché l’11 marzo si ricorda il centenario della nascita.

Certo la letteratura sull’esperienza della psichiatria radicale, o dell’antipsichiatria come altri la definiscono, non manca. Il libro di Foot secondo me ha il pregio di essere scritto da uno storico dell’Italia contemporanea, perdipiù non italiano. Queste caratteristiche lo favoriscono nel restituirci il quadro complesso della vicenda di Basaglia e dell’intero movimento, allontanandosi un poco dagli scontri ideologici e dal rischio duplice in cui sono incorsi in passato alcuni di coloro che hanno scritto questa storia: la santificazione o la demonizzazione.

Inoltre, il taglio storico del libro aiuta a considerare tutte le esperienze – non solo Gorizia e Trieste quindi – che in Italia si sono affermate attorno all’idea che le condizioni di vita cui erano costrette le persone ricoverate (imprigionate!) nei manicomi fossero inaccettabili e che fosse necessario rivoluzionare l’intero sistema.

Il lavoro di Foot aiuta a capire il grande fenomeno della psichiatria radicale in Italia, perché sottolinea ad ogni pagina che fu un lavoro collettivo. Basaglia fu una sorta di guida, ma la rivoluzione basagliana coinvolse altri psichiatri, ma anche infermieri e volontari, sostenuti da «una nuova classe di amministratori e politici, nata nel dopoguerra, che si votò alla causa della nuova psichiatria e della trasformazione (e poi chiusura) del sistema manicomiale. […] «Fu un “no” collettivo. E questo “no”  cambiò il mondo. Era inaccettabile che degli esseri umani venissero trattati in quel modo – privati dei diritti, dell’autonomia, della possibilità di mangiare con le posate, dei capelli, di qualsiasi controllo sulla propria terapia, della libertà» [Foot, cit, p.297]. 

Foot inquadra bene anche il ruolo decisivo di Franca Ongaro, moglie di Basaglia, ma portatrice di stimoli e idee ed elaborazioni autonome. Nell’intervista a Repubblica di oggi, Alberta Basaglia si trova un’efficace descrizione del ruolo di elaborazione della madre nel dare forma compiuta alle idee della nuova psichiatria. Anche se questo spesso comportava un duro confronto fra i coniugi. Del resto, spiega Aberta «diedero vita insieme a una terza figura che non era solo maschile né solo femminile ma un impasto di loro due. Qualcosa di molto speciale, che sul piano dell’elaborazione del pensiero segnava il superamento della tradizionale distinzione tra generi. Ed è proprio qui che va cercata la scintilla di una rivoluzione che non ha riguardato solo la medicina, ma anche la società, la politica, la cultura. Il loro movimento ha messo in discussione non solo i manicomi, ma anche le gerarchie di potere, a partire dal vissuto dei protagonisti. A casa mia il personale era davvero politico.»

Utilissimo anche il lavoro di cornice del secondo capitolo che aiuta a inquadrare le varie anime dell’antipsichiatria, che arrivano in alcuni casi fino alla «negazione della malattia mentale». Basaglia non era certo fra questi anche se molti suoi sostenitori lo hanno tirato un po’ per la giacca, offrendo così agli oppositori feroci della riforma attuata dal 1978 dalla cosiddetta legge Basaglia, (la 180), frecce acuminate da scagliare contro la rivoluzione basagliana.
Il libro di Foot è naturalmente corredato anche di una ricca bibliografia.

Su Basaglia e la questione dei manicomi e della rivoluzione, merita la lettura anche la biografia scritta da Oreste Pivetta, Franco Basaglia, il dottore dei matti (Dalai, 2012). Bellissimo poi il famoso reportage fotografico di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Morire di classe, (Einaudi, 1969; ora ripubblicato con grande merito da Il Saggiatore, 2024); lavoro che, a cura di Franca Ongaro e Franco Basaglia ebbe una grande forza di divulgazione della condizione di vita nei manicomi italiani. Le foto furono scattate nei manicomi di Gorizia, Colorno e Firenze.

Fra i libri possiamo anche ricordare di Alberta Basaglia, Le nuvole di Picasso. Una bambina nella storia del manicomio liberato, (Feltrinelli, 2014, ripubblicato quest’anno  con tre nuovi capitoli e una lettera inedita). Baldini e Castoldi ha ripubblicato, di Franco Basaglia, Che cos’è la psichiatria (1967) e di Franco Basaglia, Franca Ongaro,  L’istituzione negata (1968) e La maggioranza deviante (1971).

Da segnalare infine, tra gli altri documenti filmati, il famoso reportage (1968) per la RAI di Sergio Zavoli da Gorizia, con un’intervista a Basaglia e le riprese dentro il manicomio che si stava liberando. Il servizio, davvero emozionante, si può vedere su RaiPlay:

https://www.raiplay.it/video/2018/04/Franco-Basaglia—I-giardini-di-Abele-9d9ca7ee-d60a-4123-80b0-10b6311633d8.html

Molto bello anche il film di Silvano Agosti, Il volo (1975): un centinaio di pazienti dell’ospedale psichiatrico di Trieste fecero un volo sullo città:

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