Sofia Tolstoj ha copiato ben sette volte (sì 7, avete letto bene) Guerra e Pace, cosa che ha creato non pochi malumori nella coppia. Alla fine, pensava di aver scritto lei stessa questo capolavoro della letteratura russa (e la guerra Lev poteva anche pensare fosse contro Napoleone, ma l’aveva prima di tutto in casa).
Dostoevskij, pressato dai creditori, deve scrivere al mattino Il giocatore e al pomeriggio Delitto e Castigo (quando si dice la potenza del talento): decide perciò di assumere una copista, Anna Griegor’evna Snitkin, all’inizio dell’ottobre 1866. Il 15 febbraio del 1867 le chiede di sposarlo.
Vera Nabokov (la sua “aiutante, come lui stesso la presenta) copia incessantemente i romanzi del marito, è la donna-simbiotica, la-moglie-del-genio, la sua ombra.
In questa categoria di donna-copista rientra anche Felice Bauer, la donna di Kafka o meglio la sua lettrice ideale, il suo salvacondotto verso la realtà, con cui instaura un meccanismo di controllo e seduzione che arriverà (per il tempo in cui rimarranno legati) a una sorta di schiavitù epistolare. Una forma di bovarismo esasperato: la donna deve fare ciò che legge.
Infine c’è Borges, che assolda una schiera di donne-segretarie che copiano i suoi testi (sì certo era cieco, ma come lo sono, in senso metaforico, tutti gli scrittori che hanno bisogno di uno sguardo diverso per rendere reale ciò che scrivono e come lo scrivono).
Tutt’altra musica suona in casa Joyce: Nora è la donna musa, che non aprirà mai L’Ulysses né leggerà nessun’altra pagina scritta dal marito. Sta altrove, lei è Molly Bloom, è la protagonista, la regina (e non importa che non lo sappia, probabilmente lo sente, e questo le basta).
Ora, per quanto sia spassoso raffigurarsi una scenetta di genere (vi immaginate Tolstoj che si siede a tavola e dice:
Cara, ecco l’incipit: Tutte le famiglie felici sono simili fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. Per il titolo pensavo a qualcosa come: Anna, Anna Karenina, che ne dici?)
credo che vivere con un genio non sia affatto divertente. In casa di Thomas Mann non poteva volare una mosca se il grande artista era al lavoro, e lo stesso accadeva in casa Manzoni dove, mentre i suoi figli morivano di tisi, lui aveva attacchi di panico per il primo temporale estivo.
In conclusione, gli uomini avevano, per diritto naturale, una donna-specchio a cui affidare le proprie opere. Le donne scrittrici no. Raramente riuscivano a mettere su famiglia e mai e poi mai avevano uomini copisti. Il più celebre della letteratura americana, Bartleby lo scrivano di Melville, è un single incallito, per non dire un disadattato.
La conclusione quindi è: se vuoi diventare una scrittrice non sposarti, non fare figli e non andare nemmeno a convivere. Non è la via verso la felicità, ma una strada possibile verso il successo.
Grazie a Ricardo Piglia: idee, spunti e citazioni vengono dal suo libro: L’ultimo lettore.
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