Il 20 novembre è morta a Budapest Magda Szabò. Ne ha dato notizia Vanna Vannucchini ne “La Repubblica” del 21 novembre, precisando che si era
spenta a novant’ anni, con un libro in mano, seduta sulla poltrona sulla quale passava i pomeriggi, nella casa di Budapest”. La Szabò aveva parlato di destino.
Scrivere era stato per lei un destino. La letteratura il suo pane quotidiano, leggere e scrivere e insegnare le tre attività della sua vita. Dopotutto era nata in una famiglia di scrittori e professori, in una città universitaria, Debrecen, famosa per aver dato i natali ad autori famosi. E il destino si è compiuto anche nell’ ora della morte”.
In un’ intervista, apparsa nell’Almanacco dei Libri di “Repubblica” del 30 dicembre 2006, Magda Szabò aveva affermato di non essere lei a scegliere le sue storie, essendo queste che bussano alla sua porta. Più o meno ciò che Pirandello, tanto per citare il più famoso autore che i personaggi hanno caparbiamente cercato, ha sempre sostenuto.
Chissà se è successo così anche con la storia narrata nel suo bellissimo “ La porta”. Laddove si racconta- aldilà di una vicenda collocabile storicamente tra il comunismo e il nazismo- di un legame arcaico e arcano che va oltre le parole. Una indimenticabile figura femminile, Emerenc, chiede di essere capita per ciò che nondice e che non vuole dire. C’è un interdetto che la lega alla scrittrice narrante, ma è un non detto che unisce ( o dovrebbe unire) profondamente. Si compie, in questa storia di amicizia, un ritorno agli archetipi comunicativi che non hanno bisogno del verbo: un tragico passato, recidendo il superfluo che si veicola con il linguaggio, riesce a conservare l’essenzialità del fare e delle cose.
Eppure, chi narra non comprenderà fino in fondo che montalianamente “ la più vera ragione è di chi tace/ il canto che singhiozza è un canto di pace”.
Ma Magda Szabò , da grande scrittrice, aveva saputo descrivere con terribile capacità l’ essenza della vecchiaia, con impressionante anticipo. Ce ne dà prova la stessa “ Repubblica” del 21 novembre, pubblicandone un inedito “Via Katalin”, in cui si parla dell’ invecchiamento degli abitanti di questa via.
[…] “ Nessuno gli aveva spiegato che perdere la giovinezza è terribile non per ciò che viene tolto, ma per qualcosa che viene dato. Non è la saggezza, né la serenità, né la lucidità, né la pace. E’ la coscienza che l’ Insieme si è dissolto.
All’ improvviso, si erano resi conto che la vecchiaia aveva dissolto il loro passato […] l’ Insieme era andato in frantumi, in mezzo a quei frammenti c’ era tutto, tutto ciò che era loro accaduto fino a quel giorno, solo che era diverso”.
Il testo è del 1963, quando la scrittrice aveva solo 46 anni: si era evidentemente fatta trovare da questa storia, da narrare a tutti noi.
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