Visto che non posso considerare questo sabato una gran giornata, la chiudo (si fa per dire) al meglio (no un attimo: ci sarebbe ben altro da fare per chiuderla al meglio) con alcune geniali righe di Luciano Bianciardi, tratte da La vita agra. Si parla di biblioteca (noi su questo blog ne parliamo spesso, l’ultima volta qui, anche se le biblioteche di cui parliamo sono ben diverse da quella che ci racconta Bianciardi).
La biblioteca in questione è la Braidense di Milano, al principio degli anni ’60 (inutile dire che tutto il libro è geniale):
Non so per quale disposizione ministeriale, questi giovani addetti alla consegna dei libri in lettura erano quasi tutti mutilati alle mani. A chi mancava un dito, a chi due, a chi tutte e cinque. Qualcuno aveva la mano di legno e cuoio dentro il guanto nero, ferma e secca nella positura di chi te la offre alla stretta, ma senza poterla stringere. Né poter segnare sulla scheda di richiesta il numerino corrispondente al tuo nome; tanto vero che qualcuno aveva dovuto imparare a scrivere con la mano buona (buona in senso relativo, a scrivere insomma con le tre dita residue della mano sinistra), oppure ad aiutare il moncherino intervenendo con la bocca; e allora vedevi l’uomo chino sul tavolo scapeare iroso, furibondo, sembrava, i denti serrati sul mozzicone della matita. E io sinceramente mi sentivo in colpa, d’aver chiesto il libro e di costringere questo pover’uomo, in tutto eguale a me fuor che nel numero delle dita, a un simile inverecondo calvario.
Le schede di richiesta sparivano dietro una porticina, e qualcuno certo saliva su, per soppalchi e soffitte, a cercare il libro polveroso. Io non ci sono mai stato, ma mi hanno detto che i depositi della biblioteca erano e sono stipatissimi, accessibili per passaggi e cunicoli e pertugi stretti, e così bassi che un uomo di normale statura difficilmente li raggiungerebbe. Ecco perché […] la direttrice della biblioteca utilizzava per il ritrovamente dei libri altri uomini di piccolissima statura, reclutati in Val Brembana, e forse anche nani autentici da circo equestre.
E nemmeno quietavano i miei rimorsi i lettori abituali, quelli che entravano in sala grande: in trepida attesa del mio libro […] vedevo sfilare ora una ragazza paraplegica, la gamba sinistra sottilissima e il piedino sghembo, ora un vecchio coi capelli bianchi irsuti e scomposti, il capo troto da un lato, gli occhi sbarrati, o strabici, o abbogliorati dalla cataratta, ora persino un infermo sulla carrozzella da invalido, spinto da un’anziana donna vestita di nero e con la cuffia, che sembrava una monaca.
Luciano Bianciardi, La vita agra, Bompiani, (collana i grandi tascabili) pagine 9 e 10
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