Ci sono libri che se ne stanno lì, seduti sullo scaffale, con le gambe accavallate e lo sguardo sornione. Libri che ti attirano solo per la copertina o il titolo. E poi quando sei lì, magari sprofondato nel letto, che ti fai venire le formiche alle mani (sia a quella che regge la testa, sia a quella che regge il libro) pur di non mollare la presa mentre te li divori… è un po’ come se ti dicessero: “hai visto? ti stavo aspettando! E avevo ragione”.
A me è successo con “Un osso in gola” di Anthony Bourdain. Devo ringraziare un caro amico se io e l’Osso ci siamo trovati. Lui mi aveva consigliato un libro che non c’entra un tubo con A.B. Se non fosse stato per seguire il suo “consiglio”, quel giorno non avrei messo piede in libreria e, se non fosse stato per seguire anche un altro suo “consiglio”, ovvero sbirciare un po’ di più tra i libri di cucina, non mi sarei mai avvicinata a quello scaffale….
Anthony B., è un grande chef nella vita. Il suo nome già lo conoscevo, ma subito subito non avevo realizzato che l’Osso fosse suo… si, insomma, per capirci non è AB che mi ha attirato. Mi pare che questo libro, che poi è il suo ultimo, sia il primo in cui non parla in prima persona, ma ci scommetto che LUI È almeno un paio di personaggi.
Gli altri suoi libri (Kitchen Confidential, Il viaggio di un cuoco e Avventure agrodolci) sono esplicitamente autobiografici… ripeto, mi pare. Non li ho ancora letti, ma li ho già impilati sul comodino, vi saprò dire più avanti. Credo.
Due parole sull’Osso: banalmente è la storia di un sous chef… l’aiuto regista in cucina, insomma. L’ho trovato avvincente, appetitoso, un po’ noir: parla in modo sciolto di malavita, tossicodipendenza (argomento ben noto ad AB) , poliziotti, ammazzamenti (pochi) stile Pulp fiction e, ovviamente, parla soprattutto di “alta cucina” e di quel codice d’onore che vige tra i fornelli, nei ristoranti che si rispettino.
Potrebbe addirittura essere uno di quei libri che segnano una svolta di vita… ma tornerò anche su questo. Credo.
pepe
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