
La parola giusta è eternità. Ogni istante è fermato come fosse assoluto, definitivo, eterno. E’ questo che mi ha folgorato in “Trilobiti”, di Breece D’J Pancake. Per questo l’ho citato nel post sui libri più belli letti nel 2006. Per questo voglio dirne di più. E consigliarvelo caldamente per il 2007!
I dodici racconti che compongono il libro sono ambientati in un’America minore e desolata. Uomini e donne della working class si muovono in una zona depressa dei monti Appalachi. Le immagini catturano volpi, querce secolari. Gli interni sono caffè fumosi, fabbriche, officine. Gli esterni: terminal di autobus, fiere del bestiame. I personaggi sono allevatori, pugili, cow boys, cacciatori, tutti alle prese con una vita avara di felicità, di ottimismo, di orizzonti da raggiungere. Come i trilobiti – i fossili essiccati al sole – ogni personaggio è privo di un futuro auspicabile se non quello dell’immobilità.
Ogni storia parte da una vicenda minima e sfocia immancabilmente in sentimenti universali. La vita interiore dei personaggi esplode come un diretto al mento del lettore o un gancio in pancia; squarcia il velo grigio delle ambientazioni; e fa male, perché non lascia vie d’uscita. In “Trilobiti” nessuno sfugge al destino di una vita senza senso. Pancake è uno scrittore inconsolabile.
Ha detto Kurt Vonnegut: «Su Breece D’J Pancake ti do la mia parola d’onore che si tratta semplicemente del più grande scrittore, dello scrittore più sincero che io abbia mai letto. Quello che temo è che questo gli abbia dato troppo dolore, non c’è nessun divertimento a essere così bravi. Ma né tu né io lo sapremo mai». Non ci sarebbe molto altro da dire se non che “Trilobiti” è un capolavoro. E che alla fine di ogni racconto resti lì con la faccia imbambolata, il libro in mano e lo sguardo nel vuoto. Perché non si può non restare storditi da tanta potenza e lucidità di espressione.
“Trilobiti” non è proprio recente. In America è uscito nel 1983, postumo (lo scrittore si era sparato alla testa in una notte di quattro anni prima). In Italia è uscito per Isbn Edizioni nel 2005, un ritardo dovuto anche al fatto che la critica americana si accorse di Pancacke solo nel 2003. La stessa critica ha accostato molto spesso Pancake a Hemingway e a Carver. Ma il paragone è superficiale. In Pancake, ad esempio, non c’è mai l’eroismo di Hemingway. La forza evocativa e le storie minime possono a volte far pensare a Carver. Ma se proprio si vogliono fare paragoni, direi piuttosto Bob Dylan o Tom Waits.
*Capaldi
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