KUNDERA, IL SIPARIO (3). ROMANZO, DISTANZA IRONICA, LA PROSA DELLA VITA e le passioni (dei personaggi)_

La forza dell’ambiguità, dell’enigma, la distanza ironica di chi narra è una delle cose più grandi del romanzo e dei racconti. La *passione* o la mancanza di passione (come la crudeltà, la bontà, l’astuzia, l’amore, l’odio ecc.) fa parte del mondo dei personaggi, è un problema loro averla o non averla, ed è una questione…

La forza dell’ambiguità, dell’enigma, la distanza ironica di chi narra è una delle cose più grandi del romanzo e dei racconti. La *passione* o la mancanza di passione (come la crudeltà, la bontà, l’astuzia, l’amore, l’odio ecc.) fa parte del mondo dei personaggi, è un problema loro averla o non averla, ed è una questione tutta interna al romanzo.

25aprile a cervia
Kundera riprende quanto dice Hegel del poeta lirico: è egli stesso il contenuto della sua poesia. Dà parola al suo mondo interiore per suscitare negli ascoltatori i sentimenti e gli stati d’animo che provoca. Il *romanziere invece, distoglie lo sguardo da sé stesso*, si vede a distanza (si occupa di altro). E questa distanza la tiene anche nei confronti dei suoi personaggi, degli ambienti, delle storie.

Insomma sa che nessuno è quello che crede di essere, che il malinteso è diffuso e che proietta sugli individui “la tenue luce del comico”. Presente anche su Emma Bovary: una luce di tenera ironia non l’abbandonerà più, nemmeno lungo il cammino verso la morte ormai così vicina (pag. 103).

Dunque, il romanziere guarda sé e gli altri con un leggero distacco ironico, perché questo è l’unico modo per creare personaggi credibili e non fantocci al servizio di un’idea. Per disegnare ambienti e situazioni che vadano all’”anima delle cose”. Un concetto correlato che sta a cuore a Kundera è quello di “humor”, tipico del romanzo, che rivela la realtà nella sua *ambiguità*, come un *enigma*, in cui le cose perdono il loro significato apparente, in cui l’uomo che ci sta di fronte non è quello che pensa di essere (pag. 121).

In _ I testamenti traditi _, scrivendo di Salman Rushdie, Kundera accennava alla natura del romanzo come di “un universo alieno” […] un inferno nel quale la verità unica non ha potere e la satanica ambiguità trasforma ogni certezza in enigma”.

Questa distanza ironica, che è la forza del romanzo (altrove Kundera a ricordato come Rabelais avesse fondato questa forma d’arte sulla sospensione di ogni giudizio morale), rende anche la scrittura, la voce che narra, lo sguardo sulle scene, le situazioni e i personaggi immersi nella “prosa della vita”. Il mondo della prosa è quello in cui Don Chisciotte e Sancio si devono preoccupare dei denti, rotti, o che fanno male: una questione che a Omero non verrebbe mai in mente per Achille (Il Sipario, pag. 21).

Addirittura, Kundera ci ricorda che Flaubert, al momento di “squarciare la sua crisalide lirica”, cominciò a lamentarsi della *mediocrità dei suoi personaggi*. “E’ lo scotto da pagare a quella *passione* (eccola che ritorna) che rappresentano ormai per lui l’arte del romanzo e il suo campo di esplorazione, la prosa della vita (pag. 102).

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