A PROPOSITO DI LETTURE (e forse di Ferite e relative risposte)

Per chi vuole, le parole che uno dei biografi di Franz Kafka attribuisce allo scrittore praghese. Rivolgendosi a un amico, nel 1904, Kafka scrisse:
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In definitiva io penso che dobbiamo leggere solo libri che ci scuotano e ci provochino. Se il libro che stiamo leggendo non ci colpisce come un soffio di vento nel cranio, perch� annoiarsi a leggendolo? Solo perch� pu� farci contenti, come suggerisci tu? Buon Dio, saremmo contenti come se non avessimo alcun libro; libri che possano farci contenti possiamo, in caso di emergenza, scriverceli da soli. Ci� di cui abbiamo bisogno sono libri che ci sconvolgano come la pi� nera delle disgrazie, come la morte di qualcuno che amiamo pi� di noi stessi, che ci diano la sensazione di essere stati esiliati in una remota foresta, lontano da ogni presenza umana, come un suicida. Un libro deve essere l’ascia che spezza il mare ghiacciato che � dentro di noi. Questo � ci� che credo io.
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[Il brano � ripreso da Alberto Manguel, Una storia della lettura, Mondadori, pag. 103 ed � tratto dalla biografia di Kafka scritta da Ernst Pawel e pubblicata a New York nel 1984 (the nightmare of reason)]
Il brano ci dice molto di pi� di quel che non sembri a prima vista: come tutto quel che scrive Kafka, non finisce mai di dirci qualcosa. A chi fosse interessato consiglio l’intero capitolo (La pagina mancante) del libro di Manguel: illuminante sul ruolo del lettore che arricchisce i testi e su come siano tante le lettur epossibili e come ciascuna di queste si nutra delle altre letture.
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