Santiddio Holden, e tutto quanto

Grand central station

“Se davvero volete sentirne parlare, la prima cosa che vorrete sapere sarà dove sono nato, e che schifo di infanzia ho avuto, e cosa facevano e non facevano i miei genitori prima che nascessi, e altre stronzate alla David Copperfield, ma a me non va di entrare nei dettagli, se proprio volete la verità”.

Già dall’incipit folgorante si viene catturati da questo parlato irresistibile.
Sul linguaggio è già stato detto tutto. Il continuo intercalare di frasi fatte (“e via dicendo, né niente, e tutto quanto, o non so cos’altro, mi fa morire”) invece di rendere la lettura banale, la rende sorprendentemente divertente. E, cosa ancora più strana, ti si appiccica addosso (quante volte negli ultimi tempi mi sono trovata a ripeterle mentalmente nelle situazioni più disparate?).

Il fatto è che Holden non ne può più. “A te capita di non poterne più?” dice alla ragazza di turno. Si sente sempre a disagio dappertutto, ma cerca, ostinatamente e pervicacemente, un luogo dello spirito dove essere felice. Come l’idiota di Dostoevskij, tende naturalmente al bene, perciò la comunità umana gli sta stretta. Al college, anzi in tutti i diversi college da cui viene cacciato, fa fatica ad adattarsi a una vita “normale”.

“Io e l’ufficiale di marina ci siamo detti che era stato un piacere. Cosa che mi fa sempre morire. Non faccio  che ripetere “È stato un piacere” a gente con cui non è stato un piacere per niente. Ma se vuoi sopravvivere certa roba devi dirla”.

Non ci riesce perché come ci spiega Marco Aurelio, sa che ogni giorno incontrerà un indiscreto, un ingrato, un prepotente, un impostore, un invidioso, un individualista. E a questo non vuole adattarsi. E ovviamente, ne paga le conseguenze. Viene continuamente frainteso, umiliato, a volte perfino picchiato. Ma questo non gli permette comunque di odiare nessuno. Holden è un uomo in mezzo agli uomini: non dimentica mai che gli altri, tutti, stanno soffrendo come lui.

“Non sono mica tanti quelli che odio. Io che faccio, magari li odio per un po’, come questo Stradlater che c’era alla Pencey, e anche quell’altro, Robert Ackley. Loro di tanto in tanto li odiavo – lo ammetto. Solo che ecco, non mi dura mai molto. Dopo un po’, se non li vedevo, se non venivano in camera, o se per un paio di volte non li vedevo in sala mensa, un po’ mi mancavano. Nel senso che proprio mi mancavano”.

Non solo non  riesce a odiare nessuno, c’è una cosa che Holden ama sopra tutto: i bambini. Allie, in primis, il fratello morto di leucemia.

“Pioveva su quello schifo di tomba, e pioveva sull’erba che gli cresceva sulla pancia. Pioveva ovunque. Tutti quelli che erano venuti al cimitero si sono messi a correre verso le auto come matti. È lì che a momenti vado fuori di testa. Tutta quella gente poteva salire in auto e accendere la radio e poi andarsene a cena in un posto carino. Tutti tranne Allie. Non lo sopportavo. So che lì al cimitero c’è solo il suo corpo e via dicendo, e che la sua anima è in paradiso e stronzate del genere, ma non lo sopportavo comunque. Volevo solo che non fosse lì”.

E la vecchia Phoebe, la sorellina di dieci anni.

“Dovevate vederla. Stava seduta esattamente al centro del letto, sopra le coperte, con le gambe incrociate come quelli che fanno yoga. E ascoltava la musica. Mi fa morire… Ti va di ballare? – Le ho insegnato a ballare e via dicendo quand’era piccolissima. Balla molto bene…
Abbiamo ballato tre o quattro pezzi. Tra un pezzo e l’altro lei fa ridere da matti. Resta ferma in posizione. Non parla nemmeno, niente. Bisogna stare tutti e due fermi in posizione finché l’orchestra non ricomincia a suonare. Mi fa morire. E nemmeno bisogna ridere né niente”.

Ed è qui che si invertono i ruoli. Quando ha a che fare con i bambini, Holden diventa adulto. Conosce il loro linguaggio fantastico (lo rievoca continuamente) ma sa anche, come Alice al ritorno dal Paese delle Meraviglie, che è perduto per sempre. Per questo, l’unica cosa che gli piace, l’unica cosa che davvero vorrebbe fare, è proteggerli, salvarli dal burrone (the catcher in the rye, come richiama il titolo originale): ma oltre l’orrido non c’è il vuoto, c’è il mondo.
E per entrarci ci vuole tanto coraggio, e lui lo sa. Proprio come Gwynplaine sulla scogliera, Pip nella palude e David Copperfield in fabbrica. Immagino che a Holden Caulfield l’accostamento non sarebbe piaciuto. E forse nemmeno a Salinger, che invece adorava Cechov, Dostoevskij ed Emily Bronte. Chissà.

Il giovane Holden, J.D. Salinger, Einaudi editore.

Ps: la foto della Grand Central Station di New York l’ho scattata io, se ne parla a pagina 228 nell’edizione Einaudi super ET.

Commenti

2 risposte a “Santiddio Holden, e tutto quanto”

  1. Avatar annaecamilla
    annaecamilla

    Adorabile libro!

    Piace a 1 persona

  2. Avatar leparolenonlette

    Bello, eccetera eccetera 😉

    Piace a 1 persona

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