Il 12 febbraio il Gruppo di Lettura di Cologno Monzese ha affrontato il libro di Jeremy Rifkin “La società a costo marginale zero” come già anticipato in precedenza proprio qui. La discussione è stata molto vivace e si è concentrata intorno a 3 grandi temi che sono poi in parte anche quelli sollevati da Mariangela in un suo commento al post che anticipava la discussione.
– Il primo: la fine del capitalismo ipotizzata da Rifkin entro le prossime due generazioni in seguito a un abbattimento quasi totale del profitto, a sua volta annullato da una produzione a costo marginale zero (frutto dell’invasione dell’internet delle cose – energia, logistica, comunicazione), è sembrata eccessivamente ottimistica, generica e poco credibile.
Alcuni hanno sostenuto sia vicina a “fantascienza” e piuttosto semplicistica (se non ingenua) l’idea che ovunque nel mondo sarà possibile per un consumatore essere anche produttore dei propri beni (prosumer) e dell’energia necessaria per vivere pur mediante le nuove tecnologie. Difficilmente, è stato detto, grandi impianti industriali potranno autoalimentarsi, così come una piccola impresa agricola sopravvivere con il proprio impianto fotovoltaico. E ancor più difficilmente, hanno sostenuto altri, sarà possibile produrre tutto in casa con le stampanti 3D così come ipotizzato da Rifkin. E poi dove, in quale parte del mondo, la società a costo marginale zero è ipotizzabile? Non certo nelle economie con grandi disparità sociali o con un elevato tasso di povertà, è stato il parere condiviso. Anche perché le grandi multinazionali continueranno a rafforzarsi sempre più rendendo il capitalismo un sistema oligarchico con pochi grandi centri di potere economico a discapito dei più.
– Il secondo: il lavoro. Rifkin ipotizza un cambiamento verso l’inutilità del lavoro umano in alcuni settori (via via sostituito da quello meccanico) che in parte, è stato condiviso dai più, è già in atto. Questa sostanziale fine del lavoro ad alta intensità di impiego, dunque non più retribuito come oggi conosciamo, dovrebbe spingere al ritorno a un’economia di “scambio” nel “commons collaborativo”: un ritorno dunque al baratto, a un’economia che sopravvive in un equilibrio magico.
Nessuno all’interno del gruppo ha però dato una risposta alle seguenti domande: dunque, che tipo di società avremo davanti? Si tornerà a pochi grandi ricchi oligarchi e a una platea vasta di classi meno abbienti costrette al baratto? E siamo sicuri che questo “commons collaborativo” non sia nella visione di Rifkin troppo ottimistico date le continue e innate tensioni sociali che caratterizzano da sempre la vita comunitaria dell’uomo? Qui il parere è stato unanime: Rifkin non si pone la domanda e lascia un non-detto troppo importante per non lasciare in parte delusi dallo sforzo intellettuale mancato.
– Il terzo: il ruolo del terzo settore. È chiaro che la società a costo marginale zero che sfocia nel “commons collaborativo” nobilita il terzo settore e il ruolo sociale di tutto il mondo delle ong, delle onlus e delle Fondazioni. Rifkin ipotizza addirittura l’ingresso di imprese ad alto obiettivo di profitto (le grandi multinazionali o aziende private) nel terzo settore. Certo, chiarisce l’autore, queste avranno nello statuto d’impresa una evidente finalità sociale volta a tutelare il bene degli associati piuttosto che il mero raggiungimento di un utile cospicuo. E la rispetteranno. Possibile, certo, hanno sostenuto i più, ma alquanto improbabile se calato nella vita reale.
Dunque Rifkin è un futurologo superficiale? O, in fin dei conti, nello scrivere non fa altro che esercitare al meglio la sua arte di grande oratore, consulente egli stesso di grandi multinazionali che dell’internet delle cose stanno facendo il loro business? Oppure è davvero il visionario che sostiene di essere? Pur riconoscendo che alcune delle sue teorie sono in nuce già oggi, i partecipanti al Ggl di Cologno sono rimasti da un lato affascinati dall’altro dubbiosi.
Troppi i punti irrisolti, troppo l’ottimismo verso questo nuovo modello economico-sociale, dove tutto sembra risolversi in pace e armonia con meno ricchezza (almeno per i più) e tanto amore per la condivisione.
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