E’ uscito presso Laterza (sia in edizione cartacea che elettronica) un libro di Roberto Casati, Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, che sta facendo molto discutere, in rete e altrove. Si vedano in proposito le recensioni apparse su Doppiozero (qui e qui) e il colloquio intervista con Gino Roncaglia. Quelli che seguono sono alcuni appunti e spunti di lettura.
Il libro di Casati è molto interessante e alcune premesse del suo ragionamento sono, a mio parere, più che condivisibili. In sintesi, sono queste:
- La spinta a trasferire, ad ogni costo, alla tecnologia digitale alcuni prodotti e alcune attività che oggi hanno ancora una prevalente esistenza fisica e analogica, ha un forte carattere ideologico. Qui i punti di riferimento di Casati mi sembrano due: il principio di precauzione e l’avversione al determinismo tecnologico. Li condivido entrambi. Il fatto che una cosa possa tecnicamente essere fatta non implica che debba essere fatta o che sia opportuno farla. Casati fa l’esempio del voto elettronico (oltre a quello dell’ebook) e il primo mi sembra molto più centrato del secondo. Se ne potrebbero fare molti altri in campo medico o scientifico. La scelta della migrazione digitale dovrebbe essere sottoposta a un vaglio costi/benefici e a una pratica di negoziazione.
- La mutazione digitale, nel campo della scrittura, della lettura e dell’insegnamento (cui Casati dedica molte pagine) espone a un forte rischio di perdita: di competenze, di memoria, di attenzione. Giustamente Casati fa il caso della conservazione dei documenti e l’esempio degli storici che denunciano il fatto che per scrivere la storia del XXI secolo ci saranno molti meno documenti e materiali su cui basarsi rispetto ai secoli precedenti (per via dell’obsolescenza rapidissima, dell’illeggibilità dei formati digitali, del continuo mutamento e sparizione dei testi sul web).
- Centrale è il ruolo di design dell’esperienza, ossia dell’ecosistema, o dell’interfaccia di lettura, per dirla con Roncaglia: il design del tempo (“chi ha paura di un mese passato a leggere?”), il design dello spazio (“chi ha paura di un tavolo privato in una biblioteca pubblica”?), il design delle situazioni di lettura (i “regali” che l’autore offre al lettore per conquistarne l’attenzione).
Bene, il problema del libro di Casati però è che, a mio avviso, le conclusioni non sono in linea con le premesse, ossia rischiano di essere altrettanto ideologiche delle tesi contestate. Benché Casati respinga con decisione l’accusa di luddismo digitale (perché non avrebbe senso, dice, contrapporsi alle conquiste della tecnica), il lettore che termina il suo libro credo lo collochi impulsivamente nella scia di libri come quelli di Carr, di Calasso, di Simone, tutti testi di grande valore e di cui consiglio vivamente la lettura, ma che hanno un’impostazione ideologica, in alcuni casi dichiarata, e fanno una scelta di campo contraria o difensiva rispetto al mondo delle reti, dell’ebook e della digitalizzazione.
Prendiamo la questione dell’attenzione, dello zapping e del multitasking, che mi sembra centrale. Casati sembra ricalcare le tesi degli autori richiamati prima, e sostiene che la lettura digitale aumenta esponenzialmente i fattori di distrazione, soprattutto li trasporta all’interno del libro mentre prima erano esterni (sms, link, mail, video, ecc.). Su questo punto, le mie (contro)osservazioni sono più o meno queste:
- In realtà è l’intero sistema mediale, e non da oggi, ad alimentare i fattori di distrazione, tanto che la lettura del libro di carta ne è egualmente ostaggio e non credo faccia molta differenza se la lettura è interrotta da un sms che arriva direttamente sul device o da uno che trilla sul telefonino che teniamo in tasca. Morozov, ad esempio, che ha un approccio altrettanto critico verso la “dittatura dell’online”, sostiene che occorre gestire consapevolmente il tempo passato in rete, e che lui, quando legge, su carta o in digitale, “chiude lo smartphone e il modem” (ce l’ha ancora?!).
- Da questo punto di vista il digitale può offrire addirittura delle risorse in più, perché alcune delle attività che “interrompono” la lettura su carta, come la consultazione di un dizionario o un approfondimento per capire meglio quello che si legge, sono “incorporate” nell’atto di lettura (basta evidenziare la parola o cliccare). Inoltre il digitale potrebbe essere usato per creare ambienti maggiormente protetti per la lettura, attraverso filtri, dirottamenti, automatismi: il digitale espone ma scherma e protegge nello stesso tempo, dipende da come lo si usa. Un esempio è quello della lettura interstiziale: attraversare la città ogni mattina con la nostra biblioteca addosso, ci dà una possibilità di isolamento e di concentrazione in più, non in meno.
- La lettura è comunque abituata a combattere e a convivere (tutti e due i termini sono importanti) con la distrazione e ha anche acquisito una certa esperienza nel campo. E poi, c’è distrazione e distrazione, evasione ed evasione: la lettura per piacere si costruisce le sue autostrade distraenti e le percorre con grande diletto. Certo, bisogna vedere chi impugna il bastone (o la carota) della distrazione, ma anche su questo la lettura ha dimostrato di saper cambiare le carte in tavola. Mi ha stupito vedere che tra i meccanismi distraenti Casati annovera (loc. 398) anche le note: un ausilio fondamentale proprio della lettura “profonda” o saggistica, e su cui, tra l’altro, l’ebook può vantare una superiorità difficilmente contestabile, perché accelera e rende molto più preciso il collegamento alle note e il ritorno al testo principale.
Ma i punti di maggior dissenso con Casati riguardano una questione tecnica e una che potremmo chiamare, visto che discutiamo con un filosofo, di filosofia della lettura.
- Quella “tecnica”. Casati dà per scontata la rapida sparizione dei device ad inchiostro elettronico dedicati alla lettura (come i Kindle, i Kobo ecc.) a favore dei tablet interconnessi e multimediali (come l’Ipad), su cui si farà di tutto e magari anche leggere, sempre più distrattamente. Ma questa convinzione, che condivide con molti dei guru “tecnocolonizzatori”, avrebbe bisogno di essere corredata di qualche dato di previsione in più, visto che è uno dei pilastri argomentativi del libro. A me pare che si possa sostenere anche la tesi opposta, ossia che questi due tipi di device rispondono a bisogni diversi, e che quelli ad inchiostro elettronico (che hanno addirittura abolito, negli ultimi modelli, la scheda 3G per la connettività, creando qualche problema d’approvvigionamento ai lettori viaggiatori) rappresentano un esempio di come la tecnologia digitale possa essere usata per favorire la lettura intensiva e protetta. Non è affatto detto che debba per forza prevalere il device più “generalista” e l’altro estinguersi. Proprio l’esempio che Casati ripete più spesso, quello del telefonino che ha soppiantato la macchina fotografica, dimostra invece che chi vuol fare fotografie di un certo tipo e con certe caratteristiche, ricerca strumenti digitali mirati e perfezionati (non i telefonini che non hanno ottica) o addirittura usa o riscopre macchine a pellicola. E che chi si trova una macchina fotografica sul telefonino magari scopre la fotografia, così come uno smanettone da tablet si innamora di un libro che gli passa sullo schermo.
- Quella “filosofica”. Casati parla continuamente di lettura minacciata, “rubata” dal digitale, costretta a competere con le cose “più interessanti” che i ragazzi possono fare con gli apparecchi digitali. Ma se poniamo così le cose, la battaglia non è già persa in partenza? La nostra scommessa non dovrebbe essere quella di far scoprire quanto più interessante possa essere la lettura? Di analizzare come essa stia mutando? Che senso e che possibilità di riuscita avrebbe “blindare” una pratica come la lettura dentro un recinto o una gabbia, impedirle di distrarsi e di mescolarsi e, perché no, di competere, con altri stimoli e fonti? Insomma, dietro le ragionevoli preoccupazioni di Casati, io vedo a tratti far capolino un’antica concezione purista della lettura, e finisce che come soluzione “per continuare a leggere” si proponga l’“istituzionalizzazione” della lettura (loc. 788), come se non fosse già abbastanza istituzionalizzata. O si chieda a chi consiglia o linka un libro di esibire un riassunto come “prova di lettura” per evitare superficiali e distraenti catene di Sant’Antonio (loc. 1902).
Di questo passo non vorrei che ci toccasse aggiungere all’elenco rodariano (per tacere di Pennac) un decimo “modo per insegnare ai ragazzi ad odiare la lettura”: presentare il libro come un’alternativa all’ebook…
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