
Intendo dire con “senza prezzo”, che non vanno comprati; cioè il regalo da fare è la scelta dei titoli, nessun oggetto, né il libro né le pagine elettroniche.
In verità poi, io punto sui racconti; il regalo è la lista dei racconti, la selezione. Lo faccio a tutti i lettori del blog. È un gioco che sarebbe bello ripetere e moltiplicare, centinaia di liste
Lo scorso anno di questi tempi, un conoscente, lettore assiduo e fantasioso che chiamerò P. mi disse che si era innamorato di una donna ricca, dall’attenzione assai difficile da catturare. Decise che per distinguersi dal gruppo dei corteggiatori, lei ne aveva in gran numero, per Natale – avevano un appuntamento il 21 dicembre a cena – le avrebbe regalato un foglio di quaderno a quadretti con sopra una lista di libri che le consigliava. Io rimasi un po’ sorpreso, soprattutto perché la descrizione che fece P. della sua amica mi sembrava poco adatta, diciamo così, a un regalo apparentemente immateriale.
Però, pensandoci più tardi, a giochi fatti (e la sconfitta) per P., mi resi conto che quello poteva essere un bellissimo regalo. Basterebbe presentarlo con garbo e a una persona sensibile agli autori e ai titoli. E non starò a sottolineare troppo che, essendo solo una lista – con alcune altre parole aggiunte, come vedremo poi – è un regalo sobrio, austero, ridotto all’essenziale, forse, per alcuni, come quella signora amica di P., insopportabile.
Ma è anche un regalo “dinamico”, induce alla ricerca delle pagine materiali (di carta o elettroniche) ma anche all’emulazione. Mi sono poi limitato a pochi (o nessun) cenni relativi alla raccolta dentro la quale ciascun racconto è rintracciabile: questo mi pare dia ancora più forza alle selezioni, aiuti a concentrarsi sullo scritto e meno sull’oggetto sul quale è dispiegato.
Qui sotto trovate prima la lista completa dei racconti: autore, titolo. Poi l’ho ripetuta aggiungendo per ciascun racconto qualche indicazione, non tanto per giustificare le scelte (giustificazioni che stanno invece dentro il racconto e appena fuori: nei pensieri e nelle circostanze con i quali li ho incontrati e letti), quanto per agevolare l’eventuale scelta di assaggiarne uno o più di uno da parte di altri lettori.
Alcune scelte sono prevedibili, altre meno; per qualcuno si può addirittura obiettare che non si tratti proprio di racconti ma di altro tipo di scrittura, breve, ma diversa.
Cominciamo con tre classici russi
Anton Cechov, “Nel burrone” √
Fëdor Dostojevskij, “Bobok” √
Nikolaij V. Gogol’, “Il Naso” √
Adesso invece tre americani
J. D. Salinger, “Un giorno ideale per i pescibanana” √
Flannery O’Connor, “Un brav’uomo è difficile da trovare” √
Bern Malamud, “Il barile magico” √
Ora tre italiani
Italo Svevo, “L’assassinio di via Belpoggio” √
Antonio Tabucchi, Antonio Tabucchi, “Antero de Quental” √
Italo Calvino, “L’avventura di due sposi” √
Questi invece sono quattro scritti che sembra più arduo definire “racconti”; li ho comunque inseriti nella lista per l’enorme immaginazione espressa e per la forza di scrittura “artistica”, dove la funzione estetica è prevalente.
John Berger, “The suit and the photograph” √
W.G. Sebald, “Ambros Adelwarth” √
Claudio Magris, “Giardino pubblico” √
Geoff Dyer, “Mingus Fingus. Nell’occhio del ciclone” √
Adesso qualche parola per ogni racconto:
Anton Cechov, “Nel burrone”
Nabokov lo definisce “il più stupefacente dei racconti” di Cechov. E non è difficile capirne il perché. In circa 40 pagine si racconta un’intera umanità raccolta intorno al paese di Ukléevo che “era in un burrone, tanto che dalla strada e dalla stazione della ferrovia si vedevano solo il campanile e le ciminiere delle fabbriche…”. È il paese dove “il cantore ai funerali s’è mangiato tutto il caviale” (l’evento più curioso aveva segnato la nomea del posto). È il luogo dove vive la famiglia del faccendiere Grigórij Petróv Cybùkin, truffaldino ma mai cattivo. L’uomo che di fondo è buono, ma che “non sa agire bene”. Come Cechov, fa notare Nabokov.
Due i personaggi (tra i tantissimi) che lasciano il segno. La seconda moglie di Cybùkin, Varvàra Nikolàevna, donna posata, di animo buono e rigoroso che con i suoi “ohi, ohi, ohi…” pronunciati con ansia e premura, anticipa eventi disastrosi. Ma soprattutto la giovane e bella Lipa, moglie contadina del secondo figlio sordo di Cybùkin. Nikifor, il suo bambino, neonato, viene ucciso con una mestolata di acqua bollente dalla cognata invidiosa. Prima dell’infanticidio c’è però una scena che commuove. Il piccolo era adagiato nella culla e Lipa “arretrava verso la porta e diceva inchinandosi: “Salve signor Nikifor!”, e correva a testa bassa e lo baciava. Poi arretrava verso la porta, si inchinava e di nuovo: “Salve Signor Nikifor!” E lui sollevava le gambettine rosse, e il pianto gli si confondeva con il riso”.
Poi il fattaccio. E la domanda eterna rivolta da Lipa a un vecchio per strada: “Perché un bambino prima della morte deve soffrire?” E lui: “Tutto non si può sapere.. all’uccello sono date non quattro ali ma due, perché anche con due si è capaci di volare; così anche all’uomo è dato sapere non tutto, ma solo la metà o un quarto. Quello che deve sapere per vivere, quello lo sa”:
Fëdor Dostojevskij, “Bobok”
Uno scrittore di “Libretti, un “traduttore per librai”, uno che sforna feuilleton rifiutati, cambia lo stile, sente e vede cose strane. Esce per svagarsi e si imbatte in un funerale. Un funerale memorabile. Da venticinque anni non va in un cimitero; vaga, stranito, distratto, giudica le tombe, giudica i presenti al funerale; poi si allontana, si corica su una tomba si assopisce. O forse no. Ma certo comincia a sentire le voci, la conversazione, fra gli “abitanti” delle tombe. Un mondo sotterraneo sorprendente e vivace, pieno di persone nelle quali i resti della vita, ancora per qualche mese, si concentrano.
Nikolaij V. Gogol’, “Il Naso”
Quasi inutile presentare questo racconto, dal quale discende tutto l’assurdo e il comico successivo in letteratura. Il 25 marzo a Pietroburgo, Ivan Jakovlevič, “barbitonsore”, vive una delle mattine più memorabili della storia della letteratura: Ivan cambia programma, invece del solito caffè decide di mangiare della cipolla insieme con uno dei panini caldi che la moglie Praskov’ja Osipovna aveva appena sfornato.
Dentro il panino però Ivan Jakovlevič trova un naso. Un naso che conosce, quello dell’assessore collegiale Kovalëv, al quale faceva la barba ogni mercoledì e le domeniche.
J. D. Salinger, “Un giorno ideale per i pescibanana”
Florida, tardi anni ’40, Seymour, un reduce della guerra, in sofferenza emotiva e la moglie Muriel in un albergo al mare. Seymour fatica a socializzare, la moglie rassicura al telefono la madre. Seymour racconta a Sybil, in spiaggia, la bambina con la quale ha instaurato un dialogo, come quello sia un giorno perfetto per vedere i pescibanana in mare. Il racconto perfetto.
Flannery O’Connor, “Un brav’uomo è difficile da trovare”
Violenza, religione, misticismo, uno stile che sfiora il southern gothic. C’è tutto della O’Connor in questo racconto. Anche se, a momenti, a me questa grandmother è pure simpatica, con la sua fissazione per il Tennessee, la sua prepotenza; mirabile il dialogo con il Balordo (The Misfit) nel finale. Stupefacente quando, sulla strada in automobile, passano davanti a una capanna abitata da neri, questa nonna dice: “I piccoli negri, in questo paese, non hanno tante cose come noi. Se sapessi dipingere, ne farei un quadro”. Il racconto ha vagamente ispirato Bruce Springsteen (grandissimo lettore di Flannery) quando ha scritto “A good man is hard to find (in Pittsburgh)”.
Bernard Malamud, “Il barile magico”
Leo Finkle è un allievo rabbino a New York che decide di prendere moglie. Si rivolge a un sensale, Pinye Salzman – “La voce, le labbra, la barba a ciuffo, le dita ossute erano animate, ma bastava concedergli un attimo di requie perché i suoi miti occhi celesti rivelassero un abisso di tristezza […]”.
Il sensale mostra a Leo schede e fotografie; ne ha in grande numero, colmano cassetti e “ora le tengo in un barile”. Procura un paio di incontri. Ma senza risultati apprezzabili agli occhi dell’allievo rabbino. Fino a quando, per errore, la fotografia della ragazza giusta finisce fra quelle mostrate a Leo. Ma non è possibile, lei no, non è una donna per un rabbino.
Italo Svevo, “L’assassinio di via Belpoggio”
Un racconto “dostoevskiano” di Svevo, scritto nel 1890 e ambientato, ovviamente, nella sua Trieste. Giorgio diventa quasi casualmente assassino, per avidità meschina; è cinico, povero, colpelvolmente povero, un po’ vile, un po’ pauroso e non dimentica di avere una o due regole morali che ha consapevolmente violato. Un narratore che scava nella testa del protagonista alla ricerca delle paure di essere scoperto e catturato e della necessità di autogiudicarsi.
Italo Calvino, “L’avventura di due sposi”
Arturo Massolari e sua moglie Elide vivono in un piccolo appartamento, si amano ma trascorrono insieme pochi momenti ogni giorni. Arturo fa il turno di notte, va al lavoro in bicicletta o in tram, esce poco dopo l’arrivo di Elide e rientra poco prima che lei esca il mattino per il suo di lavoro. Calvino, in cinque pagine disegna momenti decisivi della vita di due sposi proletari durante gli anni ’50 (il racconto venne pubblicato nel 1958, e poi incluso negli Amori difficili). “L’avventura di due sposi” traccia, sul filo della malinconia, del patetico affettuoso ma anche dell’ironico, un quadro dolce di un amore del quale non sapremo mai gli sviluppi. E, in fondo, non sembra impossibile proiettarlo su una coppia di oggi, nell’era del lavoro precario, del lavoro a ogni ora e ogni giorno della settimana, comprese le feste una volta intangibili.
Antonio Tabucchi, “Antero de Quental”
Uno dei racconti delle Azzorre di Tabucchi: narrà la vita del figlio di un possidente delle isole, che nella seconda metà dell’Ottocento lascia il paese, viaggia per il mondo sulla spinta di grandi ideali socialisti e libertari, per tornare, deluso e disilluso, e scegliere una conclusione pubblica e memorabile, l’11 settembre del 1891. È uno dei racconti di Donna di Porto Pim.
John Berger, “The suit and the photograph”
È uno dei saggi inseriti in About looking, un libro dedicato all’attività umana dell’osservare, pubblicato per la prima volta nel 1980. “The suit and the photograph” muove dal lavoro del fotografo August Sander che si proponeva di completare una grande opera capace di rappresentare visivamente l’uomo del xx secolo. Attorno a Colonia, Sander decise di fotografare elementi di ogni ceto, professione, vocazione, privilegio. Il progetto venne interrotto dal nazismo, ma Sander ha lasciato centinaia di queste foto. Berger ne analizza tre, attorno al tema dell’abito formale da uomo. Tre foto dalle quali ricava un’analisi mirabile e di grande bellezza, anche se, forse, dalle conclusioni discutibili. Una lettura deliziosa, centrata sulla domanda: Perché ai contadini e ai lavoratori stanno così male gli abiti “eleganti” e sono così goffi quando si vestono così? Una risposta articolata quella di Berger, basata sul concetto di dinamismo del corpo dei lavoratori. Geniale, anche se, forse, non proprio corrispondente, fino in fondo, alla realtà delle cose.
W.G. Sebald, “Ambros Adelwarth”
Ambros è uno de Gli emigrati di Sebald, uno dei ritratti inclusi nel libro dedicato a quattro personaggi che l’autore ha incrociato nella sua vita e ciascuno, a proprio modo, sradicati e in movimento, che hanno attraversato il ‘900. Adelwarth è partito dalla Germania per gli Stati Uniti a inizio del secolo scorso, ha lavorato soprattutto come “assistente” di uomini ricchi e importanti legandosi al misterioso Cosmo, con il quale condivide vita e viaggi avventurosi, approdando a Costantinopoli e poi alla Terra Santa per poi tornare negli Usa e accompagnare Cosmo verso una fine segnata da gravi disturbi psichiatrici. Sebald ne ricostruisce la vita incontrando i racconti di parenti e conoscenti, a partire dai propri zii, anch’essi emigrati in America e compinedo poi un lungo percorso personale per ritrovarne le tracce.
Claudio Magris, “Giardino pubblico”
Non so se avete (o avete avuto) un giardino pubblico preferito. Uno di quelli da amare e osservare da vicino e ripetutamente. Ecco, se lo avete o lo avete avuto questo racconto di Magris è perfetto per voi. Se non lo avete, invece, è perfetto perché capirete cosa vi siete persi e potreste pensare a come riparare. Il giardino in questione è a Trieste, ci si arriva da via Marconi. Dentro c’è l’umanità, da Antonio passando da C. e arrivando a James Joyce, ovviamente.
“Dappertutto, nel Giardino, si rivela la Necessità. Le cose sono e non c’è da discutere.”
Geoff Dyer, “Mingus Fingus. Nell’occhio del ciclone”
Evito di definire la scrittura di Geoff Dyer, il quale ha fra i suoi modelli proprio John Berger. Questo “racconto” su Charles Mingus è uno dei quadri del bellissimo But Beautiful, in italiano Natura morta con custodia di sax. Storie di jazz.
“L’America era una bufera che gli soffiava costantemente in faccia. Per America intendeva l’America Bianca, e per America Bianca intendeva tutto quello che dell’America non gli piaceva”. […]
“A poco a poco assunse il volume e le dimensioni del suo strumento. Diventò così pesante che poteva gettarsi il contrabbasso sulla spalla come una sacca di tela, quasi senza sentirlo.” […]
“La sua musica, per di più, era votata all’abolizione di tutte le distinzioni: fra composizione e improvvisazione, primitivismo e virtuosismo, durezza e tenerezza, belligeranza e lirismo”.
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