La trama: Agamennone, alla guida dell’esercito degli Achei, sacrifica la figlia Ifigenia alla dea Artemide per rabbonirla di un sacrilegio subito e ottenere in cambio i venti favorevoli per poter salpare con la sua flotta verso Ilio, dando così inizio alla guerra di Troia. Clitemnestra, sua moglie, non gradisce e, al suo ritorno, dieci anni dopo, lo aspetta con la scure dietro la porta insieme al suo amante, Egisto, che nel frattempo si è sostituito a lui nell’esercizio del potere su Micene. All’omicidio assiste la figlia Elettra, condannata da quel momento a vivere come una schiava in casa propria e il cui scopo nella vita, da questo momento in avanti, sarà quello di preparare nell’ombra il matricidio e l’assassinio del suo amante. Per farlo, ha bisogno di un complice: Oreste, suo fratello, che lei stessa ha allontanato dalla reggia per proteggerlo, verrà chiamato a vendicarsi insieme a lei della coppia omicida.
Una grande scrittrice, Marguerite Yourcenar, e una grande filosofa, Simone Weil, ripropongono il mito di Elettra in due chiavi diverse. La prima è uno sguardo spietato sulla natura dell’uomo e sulla sua essenza malvagia, quando si nutre di rancore e desiderio di vendetta:
Elettra: Non intenerirti per me, Oreste mio. Io non la vedevo neppure questa casa. Non sentivo né il freddo d’inverno né il caldo d’estate. Avevo le mie stagioni dentro di me, il mio sole nero, i miei frutti avvelenati che maturavano su tralci segreti. Questa lurida camera non era più sporca delle nostre esistenze invendicate… Ho finito per amarla come la tana dell’aspide, come la guaina del coltello. Ho decorato questi muri con affreschi rossi.
E sull’ambivalenza di ogni amore:
Oreste: Non si tratta di amore filiale, mi capisci Elettra? Anche prima del delitto, io non amavo mia madre… Credi che un bambino sappia amare? Mi piaceva sedermi sulle sue larghe ginocchia, mi piaceva avvolgermi tra le sue vesti per proteggermi dal vento che spirava dall’est sulla terrazza di fronte al mare; mi piaceva la nicchia di calore che lei lasciava nel letto dopo averlo abbandonato e il tintinnio che faceva sul braccio sinistro il suo braccialetto d’ambra quando batteva su quello d’oro…
L’Elettra di Simone Weil, al contrario, diventa simbolo della sventura e icona della sofferenza che colpisce gli uomini. Ma è proprio quella sventura, imposta dalla necessità (o il Fato), che ci consente di purificare lo sguardo, dimenticando noi stessi. La discesa agli inferi insomma, l’attraversamento della notte oscura (e la morte dell’Io) ci regala uno sguardo nuovo, che è amore del mondo (e, per lei, che è una mistica, amore di Dio). La sofferenza, quindi, è un percorso necessario e catartico, per arrivare al perdono (di noi stessi e degli altri), e quindi all’amore universale (e quanto riecheggia qui il Tolstoj di Resurrezione e l’Idiota di Dostoevskj).
Questo libro è anche un invito a rileggere l’Elettra dei tre grandi tragediografi greci. Un’occasione in più per guardarsi allo specchio, come ci dice Euripide:
Le nature degli uomini, a guardarle a una a una, sono un mistero e si resta smarriti… Come sceverare di volta in volta bene e male e darne un giudizio esatto? Non lasciatevi accecare dai vostri pregiudizi: non sono nulla e voi correte dietro alle vane parvenze di cui avete pieno l’animo. Solo a starci insieme si giudicano gli uomini… E’ solo la natura che hai quella che conta e la forza dell’animo.
Marguerite Yourcenar, Simone Weil, Elettre, Medusa edizioni.
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