Paul Ginsborg torna, con un altro dei suoi contributi, piccoli ma densi di informazioni e di proposte, a parlare di un tema importante, con un titolo che non è un imperativo- contrario sarebbe all’ idea di mitezza che egli affronta nel testo- ma una constatazione, quasi un processo ineluttabile e normale: Salviamo l’Italia, Einaudi editore.
Da cosa la si debba salvare , come e perché ciò si debba fare, lo storico ce lo dice in poco più di 100 pagine, caratterizzate dalla consueta pacatezza e da una consolidata capacità di sintesi, in grado di parlare al lettore anche con il non detto.
Quattro sono gli interrogativi a cui Ginsborg risponde: Vale la pena di salvare l’ Italia? Su quali elementi agire per mettere in moto il processo di “salvezza”? Da cosa bisogna salvare l’ Italia? “Chi” dovrà salvarla?
Il primo interrogativo a cui lo storico risponde affermativamente, anche da fresco neo- cittadino italiano, parte proprio dal Risorgimento. Egli tracciandone il percorso rileva la volontà degli attori di questo processo di costruire qualcosa di nuovo da ogni punto di vista, qualcosa che non esisteva. Un ‘ operazione che ha avuto le sue “ figure profonde” (come le ha chiamate lo storico Alberto Mario Banti), “ombre”- forse inevitabili- ma ombre. Dall’interazione di queste “figure profonde” è conseguita la deriva del processo dall’idea di nazione al nazionalismo.
Per questo, Ginsborg propone la diade: nazionalismo e patriottismo, dove il secondo è sentimento positivo, in quanto devozione ad un luogo e stile di vita “ che si reputa il migliore del mondo ma che non si vuole imporre ad altri” (Georg Orwell), [pag.35].
Quali gli elementi necessari per mettere in moto il processo? Ginsborg enuclea nella nostra storia alcuni elementi che l’ hanno percorsa come un filo rosso: l’autogoverno (da Cattaneo a Gramsci alla esperienze – penso- di democrazia deliberativa di cui egli stesso ha parlato in “La democrazia che non c’è”) ; il principio di eguaglianza (a partire da Pisacane); l’idea di Europa (da Mazzini, al Manifesto di Ventotene; la mitezza, secondo l’interpretazione di Bobbio – “lasciare che gli altri siano quelli che sono”-, caratteristica di un certo pacifismo cattolico (La Pira), ma prima anche dei combattenti del Risorgimento. .
L’ Italia va salvata dalla presenza di una Chiesa troppo forte; da un clientelismo con cui non ha mai fatto i conti, né con la modernità, quando altri Paesi hanno costruito una Pubblica amministrazione, in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini; né dopo la caduta del Fascismo, con il risultato che oggi il clientelismo si configura come “una socializzazione di massa alla pratica dell’illegalità” (Amelia Signorelli) [ pag. 97]. Va salvata anche, l’ Italia, dalla ricorrenza delle dittature, da Mussolini al regime di Berlusconi . Anche se il secondo “ opera in un contesto di ampie libertà, mentre quello di Mussolini era basato in ultima analisi su un brutale dominio “ ( pag106.) . Ma la prima libertà è reale e al contempo illusoria (pag. 106 e segg.). Infine va salvata dalla povertà delle sinistre, che possono essere definite “semileali” alla democrazia.
Chi potrebbe salvare l’Italia? Se il Risorgimento è stato opera soprattutto dei volontari – essenzialmente classe media- anche oggi la stessa classe potrebbe avere molta potenzialità .Il ceto medio attivo, dotato di potenziale civico (il ceto medio riflessivo) , in alleanza con ampia porzioni del ceto popolare. I mezzi di azione ovviamente non potranno essere quelli risorgimentali delle armi, ma per prima cosa le virtù sociali della costanza e della creatività; poi l’idea delle “riforme mobili”, quelle riforme che coinvolgono i cittadini nei processi di decision making, che partono dal basso e vanno verso l’ alto, come aveva auspicato Cattaneo. “Un’ idea simile porterebbe al capovolgimento della politica come la conosciamo ora, perché imporrebbe ai politici di diffondere il potere, invece di concentrarlo” (Pag. 132).
Fin qui la sintesi molto sommaria dell’interessante volumetto di Ginsborg. A conclusione, in questa giornata del 17 marzo, in cui si festeggia l’ Unità d’ Italia, riporto le parole con cui Adriano Prosperi conclude (su Left, n. 10) l’articolata recensione del libro di Alberto. M. Banti, La nazione del Risorgimento, Einaudi editore:
Non è vero che sia sempre esistito nella storia l’ italiano perenne, quell’ essere disgustoso e ridicolo, impastato di vigliaccheria e di prepotenza, privo di senso morale, debole coi forte e forte coi deboli, di cui si parla e si scrive tanto spesso. Questo è il modello umano che è diventato il protagonista del nostro tempo e delle nostre cronache quotidiane. E’ per questo che ricordare il centenario del Risorgimento è un compito non solo opportuno ma sempre più urgente e necessario.
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