150 dall’Unità d’Italia. Salviamo l’Italia

Paul Ginsborg torna, con un altro dei suoi  contributi, piccoli ma densi di informazioni e di proposte, a parlare di un tema importante, con un titolo che non è un imperativo- contrario sarebbe all’ idea di mitezza che egli affronta nel testo- ma  una constatazione, quasi un processo ineluttabile e normale:  Salviamo l’Italia, Einaudi editore.

Da cosa la si debba salvare , come e perché ciò si debba fare, lo storico ce lo dice in poco più di 100 pagine, caratterizzate dalla consueta pacatezza e da una consolidata capacità di sintesi, in grado di parlare al lettore anche con il non detto.

Quattro sono gli interrogativi a cui Ginsborg risponde: Vale la pena di salvare l’ Italia?   Su quali elementi  agire per mettere in moto il processo di “salvezza”?  Da cosa bisogna salvare l’ Italia?  “Chi”  dovrà salvarla?

Il primo interrogativo a cui lo storico risponde affermativamente, anche da fresco neo- cittadino italiano, parte proprio dal Risorgimento. Egli  tracciandone il percorso  rileva la volontà degli attori di questo processo di costruire qualcosa di nuovo da ogni punto di vista, qualcosa che non esisteva. Un ‘ operazione che ha avuto le sue “ figure profonde” (come le ha chiamate lo storico Alberto Mario Banti), “ombre”- forse inevitabili- ma ombre.  Dall’interazione di queste “figure profonde” è conseguita la deriva del processo dall’idea di nazione al nazionalismo.

Per questo, Ginsborg propone la diade: nazionalismo e patriottismo, dove il  secondo è sentimento positivo, in quanto devozione ad un luogo e stile di vita “ che si reputa il migliore del mondo ma che non si vuole imporre ad altri” (Georg Orwell), [pag.35].

Quali gli elementi necessari per mettere in moto il processo? Ginsborg  enuclea nella nostra storia alcuni elementi che l’ hanno percorsa come un filo rosso: l’autogoverno (da Cattaneo a Gramsci alla esperienze – penso- di democrazia deliberativa di cui egli stesso ha parlato  in “La democrazia che non c’è”) ;  il principio di eguaglianza (a partire da Pisacane); l’idea di Europa (da Mazzini, al Manifesto di Ventotene; la mitezza, secondo l’interpretazione di Bobbio – “lasciare che gli altri siano quelli che sono”-, caratteristica di un certo pacifismo cattolico (La Pira), ma prima anche dei combattenti del Risorgimento. .

L’ Italia va salvata dalla presenza di una Chiesa troppo forte; da un clientelismo con cui non ha mai fatto i conti, né con la modernità, quando altri Paesi  hanno costruito una Pubblica amministrazione, in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini; né dopo la caduta del Fascismo, con il risultato che oggi il clientelismo si configura come “una socializzazione di massa alla pratica dell’illegalità” (Amelia Signorelli) [ pag. 97]. Va salvata anche, l’ Italia, dalla ricorrenza delle dittature, da Mussolini al regime di Berlusconi . Anche se il secondo “ opera in un contesto di ampie libertà, mentre quello di Mussolini era basato in ultima analisi  su un brutale dominio “ ( pag106.) . Ma la prima libertà è reale e al contempo illusoria (pag. 106 e segg.). Infine va salvata dalla povertà delle sinistre, che possono essere definite “semileali” alla democrazia.

Chi  potrebbe salvare l’Italia? Se il Risorgimento è stato opera soprattutto dei volontari – essenzialmente classe media- anche oggi la stessa classe potrebbe avere molta potenzialità .Il ceto medio attivo, dotato di potenziale civico (il ceto medio riflessivo) , in alleanza con ampia porzioni del ceto popolare. I mezzi di azione ovviamente non potranno essere quelli risorgimentali delle armi, ma per prima cosa le virtù sociali della costanza e della creatività; poi  l’idea delle “riforme mobili”, quelle riforme che coinvolgono i cittadini nei processi di decision making, che partono  dal basso e vanno verso l’ alto, come aveva auspicato Cattaneo. “Un’ idea simile porterebbe al capovolgimento della politica come la conosciamo ora, perché imporrebbe ai politici di diffondere il potere, invece di concentrarlo” (Pag. 132).
Fin qui la sintesi molto sommaria dell’interessante volumetto di Ginsborg. A conclusione, in questa giornata del 17 marzo, in cui si festeggia l’ Unità d’ Italia, riporto  le parole con cui Adriano Prosperi conclude (su Left, n. 10)  l’articolata recensione del libro di Alberto. M. Banti, La nazione del Risorgimento, Einaudi editore:

Non è vero che sia sempre esistito nella storia l’ italiano perenne, quell’ essere disgustoso e ridicolo, impastato di vigliaccheria e di prepotenza, privo di senso morale, debole coi forte e forte coi deboli, di cui si parla e si scrive tanto spesso. Questo è il modello umano che è diventato il protagonista del nostro tempo e delle nostre cronache quotidiane. E’ per questo che ricordare il centenario del Risorgimento è un compito non solo opportuno ma sempre più urgente e necessario.

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5 risposte a “150 dall’Unità d’Italia. Salviamo l’Italia”

  1. Costanza & creatività sono essenziali all’identità italiana, perché il nostro territorio chiede quotidianamente l’esercizio di queste virtù umane.
    Non capisco cosa intende l’autore con le parole “riforme mobili”.
    Concordo nel considerare patriottico l’amore per uno stile di vita che si desidera conservare, migliorando le condizioni di vita personali senza imposizioni.
    Dopo un secolo come il trascorso Novecento, nostro dovere di patrioti italiani mi sembra essere proseguire nel processo di liberazione da obsoleti clientelismi che portano a vedere l’altro non come un soggetto fine a se stesso ma come un mezzo per raggiungere finalità egoistiche.
    Verso una sempre più consapevole relazionalità sociale spero che il popolo italiano si dimostri ancora una volta all’altezza delle idealità risorgimentali .
    Sursum corda, Italia !
    Cordialmente
    Maria Vittoria Cavina

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  2. Vista l’incitazione di Prosperi e letti i quesiti di Ginsborg, segnalo qui il libro che sto leggendo:

    ► Carlo Cattaneo, “Notizie naturali e civili su la Lombardia: vol. 1. pubblicato nel 1844”, a cura di Giorgio Bigatti, Le Monnier, Casagrande, 2014, LXV, 572 p., + [4] c. di tav. ripieg.

    Paratesto utilissimo, ma la lettura rimane piuttosto ostica: mica facile l’italiano di quasi duecent’anni fa!

    Spezzetto il commento nel tentativo di non incorrere nel blocco che non mi permette di postare.

    Mari

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  3. @Tutti
    Tra gli elementi imprescindibili Cattaneo avrebbe incluso la scienza, ovviamente, la scienza intesa come leva per favorire la ricchezza, come aveva scritto nel 1839, la scienza e gli studi perché “accanto al pane e all’uomo nascano sempre le calze e le scarpe e gli altri conforti della vita”.

    Certo aveva già chiaro uno dei problemi che interessano il rapporto tra intellettuali e potere, in Italia, scriveva, non solo gli scienziati non vengono ascoltati dai politici, ma sono i politici che hanno la pretesa di dire agli studiosi come scrivere i loro libri!

    mari

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  4. Da cosa si rende necessario salvare l’Italia? Per quel che riguarda la cultura, dal vuoto enciclopedismo, avrebbe risposto Cattaneo, dalle aride elencazioni e, se mi permettete una botta di ateismo, ma l’ha scritto Cattaneo io mi limito a trascrivere, dalle cattedre di teologia. Cattedre di agraria e di idraulica sarebbero state più utili, opere di misericordia assai più cristiane e umane “degli indovinelli di San Tomaso D’Aquino e i sospiri di san Tomaso de Kempis”.Troppo utilitarista, Cattaneo?

    Mari

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  5. @tutti
    Sulla democrazia dal basso,non so, io penso che Cattaneo rivendicasse un ruolo politico alla borghesia, in contrapposizione alle oligarchie municipali di stampo aristocratico.

    @Renza

    Non avevo la pretesa di saper rispondere ai quesiti di Ginsborg, di sti’ tempi, poi. spero di non avere abusato di questo tuo articolo.

    Ciao a tutti
    Mariangela

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