Garibaldi è un ingenuo omuncolo dalle gambe storte, Mazzini un massone inveterato dedito a chissà quali riti massonici, Nievo un piagnucoloso depresso e Freud un apprendista stregone che riesce a far fortuna grazie all’utilizzo della cocaina nelle pazienti isteriche.
Certo, ci sta in un’epoca in cui Bondi è il ministro dei beni e delle attività culturali e la Gelmini ministro dell’istruzione. Che burlone, Eco. Non c’è libro in cui l’autore abbia maggiormente gabbato i suoi lettori.
La struttura narrativa si avviluppa sul concetto del complotto creando una spirale da cui il lettore non esce mai: gesuiti, massoni, ebrei. Ma si va avanti e indietro nel tempo e quindi anche templari, bonapartisti, fourieristi, comunisti (e come potevano mancare? I più citati cospiratori della nostra era politica) e satanisti di tutte le specie. Mancano solo la Spectre e i dianetici e poi ci sono tutti. La storia è sempre quella: la conquista del mondo attraverso il controllo del potere economico e la sottomissione degli altri popoli.
Il protagonista: sono due anzi no, è uno solo. Capitan Simonini e l’abate Dalla Piccola sono solo due livelli di narrazione giustapposti (due diari che si intersecano, come in un’illustrazione di Escher). Il vero e unico protagonista sono i servizi segreti: piemontesi, francesi, russi e chi più ne ha, più ne metta. Parafrasando Tolstoj, sono loro il vero motore della storia (di questa, narrativa e di quella, reale). I governi passano, i servizi restano. Come fa dire Eco a Rachkovkij del servizio segreto imperiale russo a pagina 398:
“Non bisogna mai servire il proprio padrone attuale, imparatelo, bensì prepararsi per quello successivo”
Putin ne sarebbe orgoglioso.
Lo stile: l’amore per gli elenchi presente in Eco lo conosciamo tutti. Ma mentre nel Nome della rosa la scrittura fluviale ed elencativa era funzionale alla narrazione, oltre che fedele al ritmo medievale, nei Il cimitero di Praga perde il suo effetto catartico, che invece trascolora in pura ripetizione. Qui il fine non è arrivare (da laici o da credenti) a Dio. Ma alla ragion di stato, direte voi. Eh no. Perché qui entra la deriva scettica di Eco. Non c’è più nessuno Stato, né un popolo né eroi. Tanto meno verità assolute. Tutto si compra, tutto si falsifica, ognuno può essere screditato, calunniato, diffamato.
Così Garibaldi, Mazzini, Nievo possono diventare nani sulle cui spalle noi, miseri spettatori, possiamo camminare nel presente.
Guardare la storia dal buco della serratura è senz’altro una tentazione comprensibile nel voyeurismo cultuale diffuso, allora come oggi (eh sì, il Grande Fratello non ha inventato nulla: basterebbe ricordarsi di quel miserabile libricino di Ranieri sulle idiosincrasie di Leopardi o di quella biografia – seppur di ben altro respiro – di Natalia Ginzburg sulle miserie del Manzoni).
Ma certamente non da te, caro Eco. Quindi, abbandona la deriva scettica e torna a scrivere libri per noi, che siamo lettori, non spettatori. Magari ti divertirai di meno, non potrai parlare di cocaina con Freud, mangiare i cannoli con Nievo o sorbire brodo di tartarughe con Dumas.
All’astuzia vorace di Simonini preferiamo l’arguzia tagliente di Guglielmo da Baskerville
Tanto il nome della rosa è costruito sulla verità (tutta la cosmologia del romanzo tende alla rivelazione finale) quanto Il cimitero di Praga è strutturato sulla menzogna: in un processo di screditamento continuo (i vari Feltri e Farina del nostro tempo appaiono dei dilettanti al confronto di Simonini), ci sono tante verità da non essercene più nessuna. Eppure, nel 1983 avevi scritto nelle postille:
“Solo noi monaci di allora sappiamo la verità ma, a dirla, talora si viene portati al rogo”.
Che peccato che non te lo ricordi.
Rispondi