
Kamp è un lavoro complesso, in parte installazione artistica in parte rappresentazione teatrale, realizzato con pupazzi in plastilina e scenari di legno da un gruppo olandese, Hotel Modern.
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La scena è un campo di annientamento nazista riprodotto in uno spazio grande quanto una stanza, con tutte le attività di lavoro forzato e di morte che in esso avvenivano.
Non ci sono dialoghi, solo rumori e suoni: i treni con il carico di deportati, il lavoro degli schiavi, le porte delle camere a gas che si chiudono, il flusso dello Zyklon B, e, terrificante, la musica e il canto dell’inno delle SS (credo sia questo ma non ne sono certo) all’inizio.
Gli attori/burattinai muovono i personaggi (prigionieri e guardie), simulano i rumori. Un altro riprende alcune scene come se fosse la realizzazione di un cinegiornale (la colonna sonora è l’inno cui accennavo prima).
In un articolo a commento di Kamp, Ian Buruma sul blog della New York Review of Books sottolinea come un lavoro come Kamp sia efficace perché esplicitamente artificiale, perché narra in modo palesemente stilizzato la realtà.
I dettagli evocano la realtà, con effetti d’orrore, senza provare a rappresentarla in modo mimetico, realistico. I burattini sembrano più reali degli attori perché lasciano più spazio all’immaginazione di chi osserva. […] Gli attori non possono reintrepretare quel che accadde in luoghi come Auschwitz, almeno non in modo realistico, perché quel che avvenne non può essere ricreato. Più cerchiamo rappresentazioni realistiche di una violenza così estrema e con più probabilità rischiamo di riprodurre una forma di kitsch.
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