E’ uscito il 9 gennaio, ma l’ho letto solo ora, un po’ perché in famiglia era molto ambito, un po’ perché è molto lungo (quasi 900 pagine) e ultimamente il tempo è un bene più che scarso, un po’ perché, sapendo che era l’ultimo volume della serie, volevo tenerlo da parte il più possibile. Poi dovunque mi girassi fra amici, colleghi e persone incontrate per caso mi imbattevo in lui, e non ho più resistito.
E così qualche settimana fa mi sono lanciata su *La regina dei castelli di carta*, terzo _e come detto_ ultimo volume della Millennium Trilogy di Stieg Larsson, edito da Marsilio.
Bellissimo, inutile dirlo. Ero rimasta affascinata subito da *Uomini che odiano le donne* e ancora più conquistata da *La ragazza che giocava con il fuoco*. Il primo ti prende, il secondo ti avvince, conosci ormai i personaggi, ti sei affezionata a loro, Lisbeth era diventata la mia eroina.
Non ha senso leggere il terzo volume senza aver letto prima gli altri due. *La regina* incomincia dove *La ragazza* finisce _non lo dico per non guastare la festa ai _pochi_ che ancora non li avessero letti_ dove vediamo come Lisbeth e gli altri riescono a togliere le castagne dal fuoco.
All’inizio la lettura è stata per me un po’ faticosa, nelle prime 150 pagine si dilunga in storie complicate di spie e servizi segreti, fra Svezia e Russia (a chi piacesse il tema, consiglio i libri di Leif GW Persson, sempre pubblicati da Marsilio), ma poi è un crescendo continuo fino all’epilogo. Sono un po’ sensibile in questo periodo, ma ammetto di aver avuto le lacrime gli occhi nelle ultime pagine al pensiero di non ritrovare più questi personaggi, queste storie e queste atmosfere, per cause di forza maggiore (morte di Stieg Larsson, com’è ben noto).
Ma tutti hanno parlato di questo libro, e quindi non mi dilungo su trama e commenti. Voglio però citare un articolo che mi ha colpita, uscito sulla rivista free press Satisfiction, scritto da Gian Paolo Serino, che potete leggere qui: *Il fenomeno Stieg Larsson e la morte della critica letteraria*.
Come si può capire dal titolo dell’articolo, il giornalista sostiene che la critica letteraria non esiste più, tutte le recensioni si equivalgono e rivestono la funzione della pubblicità. Prova ne è, secondo lui, il successo di Larsson, che definisce uno scrittore che
ha prodotto libri da aeroporto, romanzi di linea: assolutamente prevedibili e, solo come nella fiction può accadere, sempre perfettamente in orario. Perché sai già che in quel punto, in quella pagina, troverai esattamente quello che vuoi trovare.
De gustibus non disputandum est, io non sarò una fine lettrice e un morto e un mistero mi attirano sempre, però non li ho trovati prevedibili, non li ho trovati costruiti, non li ho trovati in orario. Ok, non gli darei il nobel per la letteratura _per quello candido sempre Joyce Carol Oates_, ma i libri di Stieg Larsson fanno il loro onesto lavoro, e anche egregiamente.
L’impressione che ho avuto è stata che questo cantare fuori dal coro saltando addosso allo scrittore svedese sia più che altro per far sentire, in qualche modo, la propria voce, che così chiude l’articolo:
Con il silenzio e il consenso di una critica letteraria che dovrebbe difenderci da simili trabocchetti e che, invece, se ne sta immobile, silente, paralizzata. Una critica letteraria che, come scriveva Honorè De Balzac in Papà Goriot, “da vecchia parassita dei festini letterari è scesa dal salotto per andarsi a sedere in cucina, dove fa impazzire le salse prima ancora che siano pronte”. La critica letteraria è morta. Le pile di Larsson aspettano lettori da divorare.
Cosa ne pensate, voi che li avete o non li avete letti?
*giuliaduepuntozero
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