“La domanda non è quale libro porteresti su un’isola deserta ma quali libri ti darebbe meno dolore bruciare.”
Una città dell’est senza nome, assediata da una guerra in corso, bombardamento fuori, inverno, freddo cane dentro.
Dentro è la casa di un professore universitario sulla cinquantina, che ospita il suo assistente Daniel e la sua donna del momento, Marina, giovane allieva.
Il freddo è il tema dominante – sottolineato di continuo da Marina – e quando finisce la legna e si decide di risparmiare le due sedie rimaste (poichè a star seduti per terra si gelerebbe il didietro), lo sguardo cade sulla ricca biblioteca del professore.
Bel dilemma: letteratura o sopravvivenza?
La guerra dietro le quinte, sempre presente, cambia le regole che definiscono i rapporti tra le persone e rimescola princìpi, verità e priorità.
La scena si fa sempre più scarna e l’attenzione degli spettatori si focalizza sui discorsi dei tre personaggi.
Parole che raccontano libri inventati, storie inutili ma forse comunque da salvare, autori detestati e fatti a pezzi ma poi letti e riletti in gran segreto… Domande sul perchè, sul senso di chi scrive, di chi legge, di chi interpreta e cerca di cambiare il mondo:
“A che serve esporre una visione del mondo se il mondo se ne frega?”
Ho visto lo spettacolo “Libri da ardere” una settimana fa al Teatro Filodrammatici di Milano. Non conoscevo il testo omonimo di Amélie Nothomb, ma sono uscita con tanti puntini di sospensione e frasi che ancora mi ronzano in testa, che credo proprio lo metterò nella lista dei libri da leggere.
Ho condiviso la serata teatrale con un gruppetto di amici molto eterogeneo, ma il comune determinatore è stato l’entusiasmo che ci siamo portati a casa. E naturalmente la provocazione: “quali libri della tua biblioteca butteresti nella stufa per scaldarti?”
Più facile parlarne fuori, camminando per le vie del centro semi deserte stretti nei cappotti, che in galleria a teatro, dove il riscaldamento a livelli insopportabili strideva con i brividi sul palco…
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