Cesare De Marchi, 58 anni, genovese, scrittore, traduttore, ha appena pubblicato per Feltrinelli il libro Romanzi (leggerli, scriverli) e si rivolge ai lettori e agli scrittori che hanno voglia di interrogarsi sul futuro del romanzo. Una delle tesi contenute nel libro sostiene il predominio della trama nella narrativa italiana. Lo scopo della predominanza dell’intreccio secondo l’autore sarebbe quello di mantenere “il lettore in un perenne stato di eccitazione emotiva“.
Con il procedere dell’arte del romanzo la trama avrebbe dovuto perdere importanza: la neoavanguardia italiana, per esempio, mostrava di disprezzarla. Invece oggi accade il contrario: i narratori più giovani non nascondono i loro debiti verso il cinema, e in effetti i loro testi procedono per brevi sequenze e dissolvenze come di macchine da presa.
A questo punto De Marchi cita Veronesi e Ammaniti:
Un romanzo come Io non ho paura ti prende indubbiamente, ma non hai voglia di rileggerlo: sono libri che impongono di essere divorati senza soffermarsi sui dettagli in cui dovrebbe consistere la vera arte narrativa”. (…) non essendoci più le grandi trame ottocentesche costruite su fatti irripetibili e straordinari, si producono trame inconsuete che non esorbitano dalla quotidianità. Da qui nasce il predominio del giallo, che è il modo più semplice di costruire un intreccio: cioè un filo di eventi esterno al movimento verbale in sé, un filo narrativo che non richiede rappresentazioni veramente drammatiche né personaggi a tutto tondo. (…) Alla seconda lettura i grandi libri rivelano nuove sfumature espressive e stilistiche e perfezionano i caratteri dei personaggi.
In due parole, io sono completamente d’accordo con De Marchi, amo gli affreschi ottocenteschi perché sono così complessi da rendere l’intreccio superfluo, e se dovessi indicare cosa avrei voglia di rileggere, direi L’Urlo e il furore di Faulkner, che è la disgregazione del romanzo, non ha principio né fine né alcun intento morale. E infine, sul romanzo giallo, lascio concludere a Umberto Eco:
“In fondo la domanda base della filosofia (come quella della psicanalisi) è la stessa del romanzo poliziesco: di chi è la colpa? (…) Il gruppo dell’Oulipo ha costruito una matrice di tutte le possibili situazioni poliziesche e ha scoperto che rimane solo un romanzo da scrivere: quello in cui l’assassino è il lettore“.
Quindi: la trama è accessoria, contano solo i buoni libri, e i particolari che vanno a costruire l’affresco narrativo e i veri colpevoli siamo noi.
Voi (e dico soprattutto a voi amanti del noir) che dite? Cosa rileggereste?
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