Il gruppo di lettura che abbiamo definito “casalingo” ha scelto come prossimo libro, Un cuore così bianco di Javier Marias. E’ un libro già letto recentemente da un Gdl di Cologno Monzese (oltre che, nel 2002, da uno dei gruppi di Cervia).
Come possibile contributo a questa lettura pubblico qui sotto un documento – preparato dai bibliotecari – riassuntivo dei temi emersi nella discussione a Cologno, in attesa che le ragazze del Gdl autogeneratosi in un appartamento milanese ci facciano sapere cosa ha suscitato in loro la lettura di Marias. Io ne sono rimasto personalmente sconvolto e in me ha prodotto solo stupore e un silenzio attonito – ma, in questo momento, non faccio testo 😉 – e una grande ammirazione per come le donne riescono ad affrontare questi temi. Il che, forse, rende l’appuntamento del Gdl casalingo ancora più intressante, visto che, per ora almeno, è formato da sole donne.
Un cuore così bianco: le opinioni del gruppo di lettura di Cologno Monzese
1. Problemi di traduzione?
In apertura di sessione abbiamo affrontato alcune questioni relative alla traduzione, che avevano un po’ agitato le acque della nostra lettura. In effetti, molti lettori avevano notato che nel testo rimanevano alcuni punti oscuri, e che a volte quest’oscurità non appariva dovuta a scelte narrative dello scrittore bensì a questioni linguistiche. Intanto abbiamo scoperto che i lettori avevano letto due diverse traduzioni dell’opera, una di Bianca Lazzaro (Donzelli, 1996) e una di Paola Tomasinelli (Einaudi, 1999) e che quest’ultima era quella distribuita in biblioteca, la più recente, la più prestigiosa e anche quella con maggiori problemi.
Proseguendo abbiamo evidenziato alcuni brani del testo originale accompagnandoli dalla traduzione dell’edizione Einaudi. In particolare abbiamo concentrato la nostra attenzione su un primo esempio, perché si tratta di una frase che si ripete varie volte in poche pagine e acquisisce un notevole significato nel contesto. Quando Luisa, parlando con Juan in una delle frequenti “scene del cuscino” contenute nel romanzo, afferma “Desde luego que querré saber si un día piensas matarme”, è chiaro che Luisa si rivolge a Juan affermando che le piacerebbe saperlo se un giorno lui pensasse di ucciderla. Ma se nella traduzione italiana (“E’ ovvio che vorrei saperlo se un giorno decidessi di uccidermi”) si omette il soggetto della dipendente, si può intendere facilmente (soprattutto in un contesto animato dal fantasma suicida della zia Teresa) che è lei (Luisa) colei che pensa di uccidersi, ma in questo modo non si capisce niente del successivo dialogo e il lettore rimane con la sensazione di qualcosa di imperfetto e di poco comprensibile.
Citiamo questo esempio non per cercare il pelo nell’uovo bensì perché siamo convinti che una buona o cattiva traduzione può decidere il destino di una lettura. Paola Tomasinelli è una valida traduttrice ed i problemi di traduzione riscontrati sono probabilmente il risultato di una macchina editoriale improntata a far uscire un libro dietro l’altro, senza curarli con l’attenzione e la passione che meriterebbero. Il lavoro del traduttore è spesso sottovalutato, gli editori pagano poco il lavoro svolto e non controllano la qualità del prodotto.
2. “Le orecchie non hanno palpebre”: sapere o non sapere, dire o non dire, uomini e donne
Il primo argomento affrontato durante la discussione è stato quello del segreto, vera chiave del libro e probabilmente dell’intera opera di Javier Marías. In molti hanno osservato come l’iniziale disinteresse del protagonista ad indagare le cause del suicidio di sua zia sia un comportamento tipicamente maschile: molti uomini non sono interessati a conoscere il passato familiare, dei loro genitori ed antenati. Luigi ha dichiarato la sua franca ammirazione (e ha lasciato un commento ricco di elogi nel blog) verso le lettrici del gruppo che hanno affrontato molto direttamente e hanno “tagliato con il bisturi” gli aspetti forti del libro. D’altra parte il libro stesso rifiuta i tagli netti e preferisce le atmosfere più rarefatte, le situazioni più ambigue, nelle quali quello che accade combacia con quello che non accade, come dice l’autore, e un filo sottilissimo separa la realtà dall’inesistenza. Se nel libro è Luisa (la donna) quella che si impegna maggiormente nel conoscere ciò che Juan “non ha voluto sapere”, e afferma indirettamente che è necessario far luce sul passato delle persone per poterle conoscere e amare, nel dibattito del gruppo sono state le donne quelle che più energicamente hanno sostenuto l’esigenza di preservare il segreto come difesa e condizione dell’amore e delle relazioni tra uomini e donne. Forse le donne (anche questo è stato detto nel blog) hanno raggiunto questa convinzione dopo aver pagato sulla loro pelle il prezzo del non aver tenuto dei segreti.
Il personaggio di Juan appare degno di molte riflessioni, anche se il suo profilo nel romanzo lo pone quasi in secondo piano, lo fa vivere di nascosto. È lui quello che ascolta senza volere, non visto, (nella scena del viaggio di nozze a Cuba ed in quella, finale, della confessione del padre) e la sua attitudine nei confronti della vita ha un’impronta di passività, che con uno stereotipo si potrebbe qualificare come femminile. È lui quello che ha un “cuore così bianco”, vale a dire che non può macchiarsi di sangue, né di colpe, né di passioni (forse questa coincidenza può farci pensare ad un Marías neoromantico?). Però lui è anche l’uomo che sa interpretare le sfumature, capire le donne e aiutarle nei loro progetti (vedi per esempio l’amicizia con Berta), che ha un’intelligenza subliminale del reale, a volte quasi profetica. È un personaggio ambiguo nel senso positivo del termine (perché in Marías tale senso c’è).
3. La coppia
Tutti si sono resi conto del tono “antimatrimoniale” da alcune osservazioni di Juan (o del celibe Marías?), fino al punto che una giovane lettrice ha sostenuto perentoria che dopo aver letto il libro mai più avrebbe pensato a sposarsi. Questo atteggiamento non sembra contrario solo all’istituzionalizzazione della coppia, ma alla coppia in quanto tale, quando la relazione implica la rinuncia alla libertà di scegliersi ad ogni singolo incontro. Lo dice chiaramente Marías quando descrive l’incedere degli sposi all’uscita dal cinema: ora che si dirigono verso lo stesso appartamento sembrano aver perso il piacere di seguirsi e ricercarsi. Sembra che Marías non creda nella verità dei versi del poeta Eluard: “Non arriveremo alla meta ad uno ad uno / bensì a due a due” (Nous n’irons pas au but un par un mais par deux). Ma in Un cuore così bianco (il romanzo del cuscino, come è stato definito, perché il mondo è visto da un cuscino comune) ci sono anche caratteristiche diverse. Tanto per cominciare il Macbeth (dal quale Marías ha ripreso il titolo e molti riferimenti del suo romanzo) è anche la storia della solidarietà coniugale di fronte al crimine: la moglie aiuta il marito che ha appena ucciso il re Duncan, e lo consola, e lo anima a non “pensare alle cose con un cervello così malato o così cagionevolmente con il cervello” (stupenda espressione con la quale si tenta di tradurre so brainsickly of things) e si vergogna di avere un cuore così bianco mentre corre macchiandosi le mani con il sangue del morto. Naturalmente né Shakespeare né Marías pensano al matrimonio come a una associazione a delinquere, ma l’elemento della complicità, sia in senso negativo che positivo è ben presente.
Alcune pennellate sulla vita coniugale raggiungono addirittura toni di elegia, come quando si descrive la complicità tra le coppie e il dormire insieme mentre uno cinge le spalle dell’altro, e così facendo gli guarda le spalle, lo protegge. Il tema dello spalleggiarsi è un tema centrale del romanzo (come risulta nella conclusione “Chi si è ferito da solo, invece, non ha mano, ha bisogno di qualcuno che lo spalleggi. Io la spalleggio.”, dice Juan) e corregge la troppo facile conclusione per cui nel matrimonio c’è solo perdita (di libertà, di amore). In filigrana si può leggere una terribile accusa che pesa non espressamente pronunciata su Teresa: che lei non seppe condividere la colpa (certamente una colpa orrenda) con suo marito, la colpa del loro amore, e si suicidò per averlo tradito.
4. La colpa
In effetti la colpa è un altro punto centrale del romanzo (come forse in tutta l’opera di Marías). Alcuni tra i lettori hanno identificato addirittura un tratto “dostojevskiano” in questo. Con l’avvertenza però di non leggere in senso moralista questo punto, perché non ci sembra presente questa intenzione nell’autore. Ranz, il padre, nonostante distrutto da un sentimento di colpa che invano tenta di mitigare con la rottura del segreto, con la ricerca di complicità, è il vero eroe tragico del romanzo. E’ lui quello che ha amato fino al punto di uccidere, e che per questo perde la donna per cui ha ucciso. Talmente grande è la tragedia da mettere in secondo piano, per il lettore (e forse per Luisa: una coincidenza non casuale), la colpa di Ranz. Non è così per Ranz, il quale consuma la sua vecchiaia nella nostalgia e nel segreto, che rompe solamente con Luisa (ed anche questo non è casuale).
5. La parola (“l’incomprensibile sussurro che ci persuade”)
La maggior parte dei protagonisti dei libri di Marías svolge lavori che hanno a che fare con il linguaggio e con la parola. Sono scrittori (come in Tutte le anime), cantanti (come in L’uomo sentimentale), “ghost writers” (come in Domani nella battaglia), traduttori come in Un cuore. Ed anche qui la parola appare in un doppio significato: sommamente ingannevole e sommamente potente. Entrambi gli aspetti sono presenti sia negli eventi di lavoro che in quelli amorosi (c’è tra i due, nel libro, un discrimine molto sottile, così che è nel lavoro che Juan e Luisa scoprono e dichiarano il loro amore). L’analisi del mondo dei traduttori e interpreti è piaciuta molto ai lettori del nostro gruppo, che hanno trovato le pagine che si occupano del tema come le più divertenti e vivaci del romanzo. In questo caso la parola è una specie di distintivo, a volte un guscio vuoto, che all’interno non protegge niente o protegge qualcosa di molto diverso dal significato originale (da qui l’importanza e l’arbitrio dei traduttori). In ambito amoroso la parola è il sussurro che persuade: mormorata all’orecchio ci lascia alla mercé di chi sussurra. Non importa il suo esatto significato (quello che si dice), ma il suo suono, il suo potere allusivo e seduttore.
6. Un ritmo “ipnotico” e un andamento spiraliforme
Quasi tutti i lettori hanno sottolineato il ritmo incalzante, “ipnotico” del romanzo. Anche se ci sono pause e digressioni, tipiche dell’autore, il lettore si ritrova catturato dal romanzo ed una volta iniziato difficilmente l’abbandona (solo un lettore del gruppo ha trovato difficile e noiosa questa lettura). È interessante che Marías ottenga questo risultato non tanto con il plot quanto con la scrittura e con la caratterizzazione dei personaggi. La scrittura ha periodi molto lunghi e frequenti ripetizioni (o citazioni interne), e ottiene, anche attraverso questo mezzo, una musicalità che seduce il lettore. Quest’ultima è parte sostanziale dello stile ipnotico. Come ha detto una lettrice del gruppo, Anna, lo scrittore ci obbliga a leggere come se “fossimo seduti nella mente dell’autore”. Narrativamente passiamo dall’“autore onnisciente” degli studi semiotici al “lettore onnisciente”.
Questo ritmo della prosa di Marías tutti l’hanno definito come un ritmo circolare, nel quale tutto si ripete ma niente torna uguale. Più esattamente, quindi, lo abbiamo chiamato un andamento a spirale. Tutto il libro è una meditazione sul tempo, sul passato e sul “futuro astratto”, non c’è quasi niente che accade qui e ora, tutto è raccontato, ricordato o immaginato. Il libro inizia e termina in una scena del passato, ma in mezzo non sappiamo mai in quale tempo ci troviamo esattamente. L’atmosfera temporale è in parte irrisolta e sospesa. Per esempio, l’episodio cubano (quando Juan viene scambiato per un’altra persona ed ascolta attraverso la parete la storia di Miriam e Guillermo) è allo stesso tempo una visione del passato (Ranz tra la prima e la seconda moglie) e del futuro (quello che può accadere a Luisa e Juan).
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